Due di tutto. Due figlie, due gatti, due pappagallini: è la vita di Peter, sposato con Ann, protagonista di A casa allo zoo, ora a Milano al Teatro Filodrammatici. Presentata come “due testi in uno” la pièce nasce dall’incontro tra “Peter e Jerry” (La storia dello zoo), primo testo in assoluto scritto per il teatro da Edward Albee e “Home life” (Vita casalinga), scritto cinquant’anni dopo, come apertura di A casa allo zoo. Nella seconda parte Peter e Jerry (rispettivamente Michele Radice e Tommaso Amadio), molto diversi tra loro, sono i due protagonisti di un incontro casuale, che Jerry sembra cercare per avere un contatto umano, che Peter invece subisce. In Home life Peter è ancora in casa: lo vediamo in poltrona mentre legge un libro. È un momento di lavoro, non di piacere, perché Peter è l’editore di quel manuale.
Casa borghese, vita tranquilla, navigazione sicura e piacevole su una barca inaffondabile: così la definisce Peter, ma non la moglie Ann (Valeria Perdonò). Che, iniziando con un «dobbiamo parlare», affronta argomenti progressivamente sempre più inquietanti. Si parla di amputazione del seno come prevenzione contro il cancro, di circoncisione. Lei racconta della madre che vuole farsi una storia, ma poi con parole crude accusa Peter di fare l’amore in modo compunto, senza alcuna passione. È una provocazione, a cui Peter risponde con un racconto che affonda nel passato. Il tono è tranquillo, quasi distaccato, freddo per un racconto destabilizzante. Estremamente scioccante. È una delle tante sorprese che Albee riserva al pubblico con A casa allo zoo.
Quasi costretto dalla provocazione della moglie a raccontare un lontano episodio violento, va al parco a leggere su una panchina. Ma quella non è una domenica come tutte le altre. Con irruenza arriva Jerry, che dice di essere stato allo zoo, ma quello è l’unico racconto che non fa. Invece eccone un altro che sorprende, a base di violenza. Ma questa è diversa. Diventa anche violenza fisica, perché Jerry vuole conquistarsi tutta la panchina, spingendo via Peter: è la provocazione non solo verbale. Con una sorpresa finale, ancor più inquietante. Anche un interrogativo per il pubblico: che cosa è successo veramente?
Altri interrogativi riguardano i rapporti tra sconosciuti, ma anche tra persone che si conoscono o almeno dovrebbero conoscersi. Così la solitudine dipende dal non avere rapporti con altri o ci si può sentire soli, estranei, anche vivendo a contatto con altre persone, che si suppone siano vicine? Certo il sentirsi soli non dipende dalla classe sociale o dalle disponibilità economiche: l’unione tra i due atti unici lo suggerisce. È però un isolamento diverso quello che vivono Peter e Jerry: cercato o subito, perché non capiti o perché senza veri rapporti umani. Anche le reazioni sono diverse.
Logico anche interrogarsi su quella voglia di arrivare alla provocazione quando l’altro sembra capace di assorbire gli urti. E forse non esistono luoghi in cui uno possa sentirsi davvero al sicuro.
Fil rouge tra le due parti, voluto dalla bella regia di Bruno Fornasari, sono piccoli particolari. E’ quel prato verde, ma anche originale moquette casalinga. Sono quelle teste di tigre che appaiono in apertura dello spettacolo e tra una parte e l’altra, indossate dai tecnici che sostituiscono la poltrona casalinga con la panchina, creando la nuova ambientazione. Ma è anche la specularità tra le due parti, fino ai momenti di scontro, ben sottolineati dal variare delle luci curate da Fabrizio Visconti.
La pièce conquista gli spettatori, destinata a rimanere nel loro ricordo, anche grazie all’ottimo cast, con i tre interpreti ben calati nei loro personaggi.
Sempre in scena, protagonista di entrambe le parti, Michele Radice è fantastico nel dare a Peter tutte le emozioni, dapprima frastornato dalle parole della moglie, capace di freddezza mentre rievoca quel fatto lontano al sapore di sangue, poi stupito dal comportamento di Jerry e di nuovo provocato. Costretto a una reazione che lui, flemmatico, non vorrebbe. Tutti sentimenti che si leggono sul suo volto, nei modi, nelle parole. Una provocazione a cui Jerry, a cui Tommaso Amadio dà tutta l’irruenza che il personaggio problematico richiede, arriva progressivamente, lasciando alla fine intuire un disegno ben preciso. Forse. Senza dubbi invece la provocazione di Ann, la moglie presente nella prima parte, a cui Valeria Perdonò dà quel tanto di ironia destinata a pungere. Anche ferire.
(Nella foto di Laila Pozzo, da sinistra Tommaso Amadio e Michele Radice in A casa allo zoo. E’ al Teatro Filodrammatici con la regia di Bruno Fornasari fino al 26 maggio 2024)
A casa allo zoo
di Edward Albee
Traduzione Enrico Luttmann
Regia Bruno Fornasari
Con Tommaso Amadio (Jerry), Valeria Perdonò (Ann), Michele Radice (Peter)
Scene e costumi Erika Carretta; Disegno Luci Fabrizio Visconti; Suono Silvia Laureti; Assistente alla regia Federica Dominoni
Durata: 90 minuti senza intervallo
Produzione Teatro Filodrammatici di Milano, Viola Produzioni con il sostegno di Regione Lombardia, Fondazione Cariplo – NEXT Laboratorio delle idee per la produzione e programmazione dello spettacolo lombardo 2022/2023, IntercettAzioni – Centro di Residenza Artistica della Lombardia / Circuito CLAPS
A Milano al Teatro Filodrammatici dal 14 al 26 maggio 2024