Christian La Rosa alla pari di Helen Mirren nei panni live della Regina Elisabetta o di Alec Guinness come Lawrence d’Arabia? Si sarebbe tentati di affermarlo quando lo si vede incarnare Giorgio La Pira in Dramma industriale (Firenze, 1953), lo spettacolo scritto da Riccardo Favaro e diretto da Giovanni Ortoleva per la Festa del Teatro a San Miniato, edizione n° 77. Chi ha detto che si deve andare fino in Inghilterra per ammirare interpreti in grado di essere mimetici con i personaggi storici che impersonano sul palco?
Quando Christian La Rosa riproduce i modi e gli atteggiamenti del sindaco che fu alla guida di Firenze nel dopoguerra, si resta indubbiamente impressionati dal suo talento attorico. Ma la prima domanda che ci si pone è con quanto impegno e tempo si deve esser impegnato a visionare e studiare i reperti filmati e la vocalità del celebre primo cittadino fiorentino, attualmente al centro di una causa di beatificazione. La sua performance ce la ricorderemo a lungo. Senza un baricentro di tale caratura, probabilmente, il regista non avrebbe avuto modo di realizzare l’ottimo spettacolo che ha potuto portare a termine. Bisogna, del resto, riconoscere a Ortoleva il merito di aver avuto a disposizione elementi di massimo livello e di esserseli giocati tutti al top delle potenzialità.
Christian La Rosa è solo il frontman in un cast di talenti impressionanti, cinque attori uno più emozionante dell’altro, portati insieme al medesimo altissimo grado comune di espressività: Edoardo Sorgente (il Ministro) alla pari di Stefania Medri (la Giornalista e Lei), Stefano Braschi (il Ragioniere) alla pari di Marco Cacciola (il Presidente). Quest’ultimo risulta ammirevole nel difficile monologo finale in cui il senso di attualità del testo e le intenzioni della recitazione riescono a scansare la retorica e l’enfasi a cui ci hanno abituato tanti epiloghi cinematografici americani.
Perché era davvero molto difficile restituire la figura, per certi versi ancora controversa, del personaggio La Pira. Protagonista emblematico del cosiddetto Cristianesimo sociale, sodale e antagonista di Fanfani nella Democrazia Cristiana degli anni ’50, a tutt’oggi non si capisce quanto fosse davvero ispirato da profonde idee di lavoro da applicare secondo una prospettiva riformista o quanto fosse un “guitto” abile nel recitare il ruolo di voce stonata fuori dal coro, in consapevole contraddizione tra la parola evangelica a cui si appellava e la pratica politica da applicare, 50% per il non-statalismo e 50% per l’interclassismo, pur di portare a casa il risultato pratico che maggiormente gli premeva.
Emblematico, in tal senso, l’episodio storico del ‘53 al centro dello spettacolo, quando la crisi che aveva colpito duramente la regione Toscana stava portando al fallimento programmato le fiorentine Officine Pignone, dove rischiavano il licenziamento più di 2000 dipendenti, che vennero salvati grazie al coinvolgimento di Enrico Mattei e al ricorso all’ENI che le rilevò. L’intera vicenda viene ricostruita nell’intelligente testo di Riccardo Favaro in termini storicamente inappuntabili, con l’adeguata evidenza dei complessi rapporti politici all’interno della DC, tra questa e le gerarchie ecclesiastiche, tra i sindacati, il “comunismo bianco” e il Partito Comunista, senza però voler fare per forza e necessità una cronaca storica teatralizzata e spiegata alla maniera televisiva.
La soluzione scelta nel copione si compone dell’interazione di vari sogni sovrapposti tra loro e dei vari punti di vista dei personaggi, uno dentro l’altro, uno accavallato all’altro, i sogni di La Pira piuttosto che quelli dei politici, in modo da lasciare allo spettatore un ampio spazio fuori dalla Storia, ma dentro la storia (e soprattutto fuori dall’agiografia), per permettergli un’interpretazione propria delle personalità e degli eventi che si trova a giudicare sul palco. Su tale base il regista Ortoleva ha modo di far interagire gli attori anche con manichini/marionette di dimensioni umane calati a un certo punto dall’alto per interagire da protagonisti in scena, interlocutori dalle fattezze dei personaggi storici Don Sturzo, Pella, Andreotti e Costa, ma anche astratte icone portatrici di ideologie politiche ed ecclesiastiche. Colpo di scena ideato con lo scenografo Federico Biancalani? Sì, ma anche esplosione di forza teatrale.
Lo spettacolo che ha avuto solo poche repliche dal 22 al 26 luglio alla LXXVII Festa del Teatro di San Miniato è previsto che venga ripreso a Firenze (dove attorno alla figura La Pira si respira ancora un’aura di santità tra il laico e il religioso), ma meriterebbe una vera tournée sull’intero territorio nazionale.
(Nella foto di Stefano Bertoncini, una scena di Dramma industriale – Firenze 1953 di Riccardo Favaro con la regia di Giovanni Ortoleva. Lo spettacolo prodotto da Elsinor è andato in scena in prima nazionale alla LXXVII Festa del Teatro di San Miniato)