Lampadine pendenti sul palco, una lavagna luminosa, una piccola plancia di comando, poche slide proiettate su uno schermo e lui con le sue domande, a sé stesso, a noi, ai suoi parenti più stretti. Sergi Casero Nieto, attore/autore 32enne è alla ricerca di un punto di gravità permanente che gli permetta anche di definire la sua identità divisa tra vita (e lingua parlata) in terra di Spagna e Catalogna. Il suo El Pacto del Olvido è uno spettacolo importante, di quelli che segnano una stagione teatrale, che il Festival delle Colline Torinesi ha il merito di aver proposto per primo in Italia il 31 ottobre e 1° novembre e che approda il 10 e 11 novembre alle 20 a Zona K a Milano. Tutto estremamente semplice ed essenziale, tutto nella parola e nell’uso che ne viene fatto, parola come inchiesta, come stimolo, come accusa, come invocazione di aiuto a capire e capirsi.
L’interprete (ma sarebbe meglio dire “l’uomo”) in scena racconta pacatamente la propria esperienza in termini semplici, ma assolutamente incisivi, che arrivano al pubblico nella traduzione italiana proiettata in sovra-titoli sulla parete di fondo, e proprio quella pacatezza tanto espressiva si rivela uno dei valori principali dello spettacolo. Senza rancori, senza invettive, senza furori, si cerca una verità interiore che possa essere quanto più possibile definitiva e incontestabile.
Tutto parte da una semplice domanda del protagonista alla nonna intorno ai 90 anni, al termine di una cena (in cui viene coinvolta anche sua madre over 60): “Come si viveva sotto il Franchismo? Tu cosa facevi?” Curiosità legittima da parte di un nipote, domanda scomoda se va a muovere dal fondo della roggia il limo torbido che il tempo ha sedimentato e reso inoffensivo. Nel corso della sua ricerca tra il vissuto domestico e i dati forniti dalla Storia Sergi Casero Nieto è venuto anche a scoprire che negli anni ’30 il nonno è stato falangista franchista, esperienza rimossa (volutamente taciuta?) nella vita familiare. Da un lato diventano interessanti le giustificazioni della nonna, tanto quanto fondamentali le questioni stimolate dal nipote.
La Storia viene chiamata in causa, con tutti i suoi casi oggettivamente registrati e qui puntualmente riferiti, e messa in relazione con i ricordi personali, con una memoria soggettiva carica di elementi effettivi e insieme emotivi. La memoria e le considerazioni sul suo uso e sui suoi effetti diventano così il centro dello spettacolo. Memoria come patrimonio di esperienze, ma anche come fenomeno fisiologico, memoria su cui può incidere pericolosamente il fenomeno dell’Alzheimer mostrato anche come metafora di un certo tipo di volontà politica contemporanea.
Quanto mai struggente ed emblematica è la sequenza in cui una foto di famiglia viene progressivamente cancellata, un volto dopo l’altro, un abito prima, l’altro subito dopo, poi lo sfondo. Fino a che di tutta l’immagine resta solo un riquadro uniforme di un bianco vuoto e accecante. Allo stesso modo emblematico vari negativi fotografici sovrapposti tra loro avvolgono di nebbia impenetrabile un’altra immagine fotografica mostrata: un’oggettività cancella un’altra oggettività. Così le domande sulla memoria si moltiplicano e incalzano, sulla storia della conquista della democrazia e sulla permanenza dei regimi dittatoriali, e arrivano a chiedere a noi Italiani in quanti si ricordano dei campi di concentramento mussoliniani di Arbe in Slovenia o di Coltano in Toscana dove furono internati detenuti a decine di migliaia.
Alla madre, ben oltre la maggior età al momento della morte di Franco, quando la Spagna si trovò sul confine di una nuova guerra civile, Sergi Casero Nieto chiede come le è stato possibile giustificare il Pacto del Olvido, la legge che per pacificare la vita spagnola concedeva l’amnistia e cancellava il passato anche per i criminali che avevano appoggiato il Generalissimo. E con rispetto Sergi ne accetta la risposta autoassolutoria: “Abbiamo fatto tutto il possibile perché la Democrazia potesse avere la meglio.”
Il protagonista si rende conto anche delle autocensure che ha messo in atto nel porre le domande, e si chiede e ci chiede come sulle generazioni agisca questo meccanismo: cosa resta nel setaccio? Cosa c’è di fondamentale in quel che si perde? Come funziona la selezione? Come passano le informazioni e gli eventi da una generazione all’altra? Come si inserisce “politicamente” la funzione dei libri scolastici nella trasmissione della memoria condivisa? Che valore hanno le singole parole in tale trasmissione? Si può ben capire da queste righe che El Pacto del Olvido cerca e non dà risposte: quelle spettano a noi del pubblico, da singoli individui e ancor di più da “cittadini”. Di certo una cosa la dice a tutti: non è vero che tra destra e sinistra non ci siano più oggi molte differenze. Sta a noi scegliere consapevolmente da che parte schierarci e soprattutto sapere il perché.
Venerdì 10 novembre Sergi Casero incontra il pubblico a fine spettacolo insieme a Maddalena Giovannelli e Angelo Miotto.
(Nella foto di Andrea Macchia in scena Sergi Casero Nieto in El Pacto del Olvido)