La forza dirompente della fotografia: guardi un’immagine e il pensiero va oltre. Rifletti e cogli situazioni anche poco note. Il Festival della fotografia etica lo dimostra. Una delle sezioni del festival, in programma a Lodi nei fine settimana, dal 28 settembre al 27 ottobre 2024, è dedicata alle foto premiate nell’ultima edizione del World Press Photo. In apertura, un pannello mostra alcune delle foto premiate dal 1950 a oggi. Si vede la foto del 1957 con soggetto una ragazza afroamericana che innescò il dibattito sulla segregazione razziale negli Stati Uniti. C’è la foto della ragazzina in Vietnam: prima foto di nudo, alla fine pubblicata, dopo una iniziale indecisione, perché permetteva di capire che cosa stava avvenendo. E ancora, colpiscono la foto del malato di Aids e quella di piazza Tienanmen, entrata nella storia e rimasta nel ricordo anche dopo molti anni.
Sono progetti che il mondo deve conoscere, commenta Alberto Prina (nessuna parentela con chi scrive queste note), presentando il festival che ha fondato nel 2010 con Aldo Mendichi. I fotografi impegnati sul campo attraverso le loro immagini riescono a dare voce a chi non l’ha. Ma ora, secondo una scelta dell’organizzazione del World Press Photo, è stato privilegiato un linguaggio meno respingente per invogliare chi guarda a soffermarsi sull’immagine e coglierne meglio il significato.
Lo si percepisce chiaramente nella sala Bipielle Arte della Fondazione Banca Popolare di Lodi, vicino alla stazione, dove è esposta una selezione delle immagini partecipanti al World Press Photo, che il Festival della fotografia etica di Lodi ospita, unico in Lombardia. Le foto sono divise per continenti, accompagnate da pannelli con testi esplicativi che aiutano a meglio comprendere il progetto esposto e cogliere la forza delle immagini da cui nascono più riflessioni. A volte sono immagini che parlano di guerra. In particolare in questo momento al centro degli obiettivi è quella tra Israele e Hamas, più che l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia di Putin. Da un altro reportage si scopre l’alto numero di giornalisti uccisi, che rendono questa guerra tra Israele e Hamas la più letale per i reporter e certo per chi guarda è sconvolgente scoprire che c’è chi muore per informare.
Altri reportage portano all’attenzione del pubblico delle situazioni meno note, come ad esempio la guerriglia in Myanmar: la giuria ha apprezzato il coraggio di Ta Mwe, il fotografo autore del reportage deciso a documentare la situazione, nonostante il grande rischio personale. Altre volte a emergere è la violazione dei diritti umani. Altri reportage ancora raccontano le difficoltà che devono affrontare i fotografi, in molti casi a costo della vita, per far conoscere situazioni che c’è chi vorrebbe rimanessero sconosciute.
Altre serie di foto raccontano storie apparentemente meno drammatiche, perché meno insanguinate. È il caso che riguarda le farfalle monarca, che l’agricoltura industriale lungo il percorso di emigrazione sta decimando. A questo si oppongono le popolazioni di Canada, Stati Uniti e Messico che per l’occasione si sono unite.
Ed è il caso di Rena Effendi, la fotografa azera che per continuare il lavoro del padre e documentare una particolare farfalla si è trovata a lavorare in una situazione geopolitica totalmente diversa. Non più l’Unione Sovietica. La farfalla ora è solo in una zona dell’Armenia: per una fotografa azera significa entrare in un Paese in guerra con il suo, affrontando non poche difficoltà.
Se alla fine del giro ai visitatori viene voglia di raccontare una realtà vicina – non è la lontananza che rende rilevante un reportage – sono disponibili le fotocamere e gli obiettivi Fujifilm. È possibile la prova per una ventina di minuti: lo è stata nel primo weekend di apertura del Festival della fotografia etica, lo è anche nel secondo weekend. Fujifilm Italia infatti, in qualità di main sponsor, promuove attività educative, sessioni di touch & try gratuite per i visitatori e contenuti di approfondimento a sostegno dell’esposizione World Press Photo, come incontri aperti al pubblico con alcuni dei vincitori dell’edizione 2024.
E’ anche un modo per sottolineare l’apporto di fotocamere e obiettivi alla conoscenza e dunque a una maggiore consapevolezza della realtà, lontano da fakenews, disinformazione e conseguenti manipolazioni. Così Fujifilm sponsorizza tutto il Festival della fotografia etica, capace di attrarre il pubblico lodigiano, insieme a un terzo lombardo e un altro terzo oltre i confini della Lombardia.
Altra sede espositiva particolarmente interessante è Palazzo Barni. Qui sono i reportage che hanno partecipato al World Report Award, il concorso internazionale promosso dal Festival di Lodi per dare voce e supporto all’impegno sociale dei fotografi. Qui, grazie al lavoro del fotografo Giles Clarke, si scopre la situazione di Haiti, tra corruzione, analfabetismo, mancanza di scuole e di assistenza sanitaria. Si capiscono le difficoltà in cui si dibattono i giovani in Ucraina, ma si vede anche la vita in un villaggio russo che era considerato tra i più belli. E’ il racconto fotografico Oshevensk ai confini del tempo di Francesco Comello. Altri reportage hanno al centro il tema dell’aborto con immagini impattanti di Kasia Strek. Oppure si scopre una Germania tra miniere di carbone e difficoltà date dal cambiamento climatico.
Ugualmente da non perdere a Palazzo Barni è una serie di foto che racconta la nascita della fotografia di montagna, fine Ottocento. Sono le foto di Vittorio Sella, con protagonisti ghiacciai, ma anche alpinisti che affrontavano la neve con gli equipaggiamenti di allora. Sono foto di alto valore storico, capaci di far riflettere su quanto i cambiamenti climatici stanno influendo drammaticamente, con conseguenze destinate a toccare tutti.
———-
Il 6 ottobre, proposti da Fujifilm, sono previsti due incontri aperti al pubblico alle 12 e alle 17:30 con Alejandro Cegarra. Il fotografo venezuelano con il suo lavoro denuncia le violazioni dei diritti umani in Venezuela e Messico, dove attualmente risiede.
(aggiornamento del 5 ottobre 2024)