Il romanzo di Elena Ferrante arriva al Piccolo Teatro Studio Melato. Per portare in scena I giorni dell’abbandono è stato necessario un attento adattamento, racconta Gaia Saitta, che lo ha curato insieme alla regia. Prima di tutto è stato ridotto il numero di personaggi: solo Olga, i due bambini e il cane. Anche l’ambientazione è stata spostata: non più a Torino. Olga da Napoli arriva a Bruxelles seguendo il marito Mario ed è qui che subito viene lasciata per la figlia della vicina. Questo ha anche comportato l’utilizzo di due lingue: Olga quando è sola parla l’italiano, ma con i figli parla in francese.
È una scelta di polifonia linguistica, che ben corrisponde anche al fatto che lo spettacolo è una coproduzione Italia-Belgio, tra il teatro di Bruxelles – Gaia Saitta è artista associata al Théâtre National Wallonie-Bruxelles – e il Piccolo di Milano. Ma è anche la possibilità di parlare direttamente agli spettatori, senza che debbano guardare lo schermo, quando viene citata l’opera di Elena Ferrante.
Per Olga l’uscita di casa di Mario significa perdere il suo stato di moglie e madre perfetta, con la consapevolezza di essere vissuta fino a quel momento in funzione di altri. La sua rivolta a questo punto è sorprendente, perché Olga precipita nella volgarità e nella crudeltà verso il mondo: «è il buco di Alice, senza le meraviglie» commenta Gaia Saitta.
Tutto si svolge all’interno della casa, che è come un corpo in cui lei è incastrata. Ha perso i riferimenti fisici. E’ convinta di non riuscire nemmeno ad aprire la porta di casa. Finché capisce che per farlo non ha bisogno degli altri. E’ questo l’abbandono: è quello di una donna che decide di ridisegnarsi. E’ la liberazione dal ruolo sociale e da ogni oppressione. Il titolo in francese, con quell’aggettivo possessivo, ne rende più chiaramente il senso: Les jours de mon abandon.
«I giorni dell’abbandono – è il commento di Gaia Saitta – ha la densità della tragedia antica, la Medea contemporanea che non ha più bisogno di uccidere i figli per esistere, ma celebra l’inutilità dell’orgoglio, perdona l’uomo e così facendo ne fa crollare il palazzo. Ecco il vero abbandono di cui siamo testimoni. Lungi dall’essere un momento negativo, abbandono significa liberazione, dal ruolo sociale e da ogni oppressione. Tutto è da rifondare: il sé, il mondo intorno, le parole, la grammatica. Non ho avuto scelta, ho sentito il bisogno di raccontare questa storia».
In scena accanto a Olga ci sono i due bambini: sono due bambine di 10 anni, che si alternano e un attore adulto nel ruolo del bambino. Ed è proprio a loro che è stato affidato il compito di dare delle informazioni, quando giocano a papà e mamma che litigano.
Accanto a loro il cane Vitesse, a cui Gaia Saitta ha lasciato il massimo della libertà di muoversi.
(Nella foto di Anna van Waeg, una scena da I giorni dell’abbandono con Gaia Saitta)
Les jours de mon abandon / I giorni dell’abbandono
ispirato a I giorni dell’abbandono di Elena Ferrante © 2002 Edizioni E/O
ideazione, adattamento, regia Gaia Saitta
collaborazione artistica Sarah Cuny, Mathieu Volpe, Jayson Batut; testo e drammaturgia Gaia Saitta, Mathieu Volpe
con Jayson Batut, Flavie Dachy / Mathilde Karam, Gaia Saitta, Vitesse (il cane)
assistente alla regia Sarah Cuny, scene Paola Villani, costumi Frédérick Denis, musica e ideazione suono Ezequiel Menalled , luci Amélie Géhin
uno spettacolo di Gaia Saitta / If Human
produzione Théâtre National Wallonie-Bruxelles coproduzione Kunstenfestivaldesarts,
Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa, CSS Teatro stabile di innovazione del FVG, TNC-Teatre Nacional de Catalunya Barcellona, Théâtre de Namur, Le Manège Maubeuge, La Coop asbl, Shelter Prod
Consigliato a partire dai 15 anni
Spettacolo in francese e italiano con sovratitoli in italiano e inglese
A Milano, Piccolo Teatro Studio Melato (via Rivoli 6 – M2 Lanza), dal 28 febbraio al 2 marzo 2025 (prima nazionale)