Il palcoscenico si anima. Arrivano gli attori. Iniziano le prove. È I Promessi sposi alla prova di Testori, che va in scena incrociando più piani di lettura e suscitando riflessioni e più di una emozione. Con un cast totalmente rinnovato rispetto alla più recente edizione del 2019 andata in scena al Teatro Franco Parenti, salvo la presenza di Carlina Torta nel ruolo di Agnese, lo spettacolo è al Piccolo Teatro Studio Melato, che per l’occasione ha un aspetto nuovo. Non l’abituale pianta circolare, ma il palcoscenico sul lato più corto e il pubblico frontale.
In scena è una compagnia di attori impegnati a provare il testo di Testori, rivisitazione secondo la sua sensibilità dei Promessi Sposi di Manzoni, guidati dal regista, il Maestro come è sempre chiamato, riconoscendogli autorevolezza e capacità di trasmettere la passione. Qui è Giovanni Crippa, che ricorda l’edizione di quarant’anni fa, quando nel suo ruolo era Franco Parenti, di cui sentiamo una registrazione. E’ quella stessa edizione, quando Andrée Ruth Shammah, alla regia anche oggi, aveva messo in scena per la prima volta il testo di Testori.
Questa è una tragedia, sottolinea il Maestro, che si impunta già sulla prima battuta, perché “Quel” (ramo del lago di Como, di manzoniana memoria) deve essere perfetto. Può essere una occasione di sorriso, ma anche di riflessione su quanto ogni momento, ogni parola abbia importanza quando si porta in scena un testo, perché possa coinvolgere il pubblico. E infatti «tocca a te incantare il pubblico» dice il Maestro a Renzo.
Sono prove su un palco senza scenografia, salvo sedie e scale. Sono le parole che diventano a loro volta scenografia, dice il Maestro, usando parole da cui emerge tutta la forza del teatro, che sta nel mestiere dell’attore.
Ed è un «mestiere» che permette di entrare in personaggi molto diversi. Così Giovanni Crippa, di volta in volta, diventa un tremebondo Don Abbondio, ma anche un inquietante Innominato, personificazione del male, che una calza calata sul volto rende emblematico.
Gli episodi narrati dal Manzoni si susseguono, si dilatano, si impregnano di dolore, passione, sangue, ma anche ineluttabilità del destino, quando da una botola affiora Gertrude. È la Monaca di Monza, a cui già Testori aveva dato la parola, rendendola protagonista di un suo dramma e che ora si racconta vittima di un destino segnato già prima della sua nascita, che la voleva monaca per motivi economici di famiglia. Ma esplode anche tutta la carnalità di Geltrude e, insieme, dell’attrice che si immagina la stia interpretando. A vestirne i panni – di Marianna de Leyva e dell’attrice che la interpreta – è Federica Fracassi, in un momento che attanaglia lo spettatore. Lo induce anche a riflettere sulla condizione della donna, allora privata di ogni possibilità di decisione sulla propria vita, ma anche ora meno libera di quanto sarebbe logico, senza condizionamenti di genere.
Questo è il mestiere dell’attore, così Federica Fracassi poco dopo diventa la madre di Cecilia, che al suono dei campanellini dei monatti soffre per dover abbandonare la figlia, morta di peste. Le due interpretate da Federica Fracassi non sono le uniche figure femminili che hanno un forte rilievo, forse anche più che in Manzoni. Così Lucia vive la sua paura di fronte all’Innominato, che supera rivolgendosi a Dio. Lo invoca in contrapposizione al male che sente nell’Innominato, ma vi si rivolge anche con quel voto che in scena il Maestro indica come uno degli elementi che la stigmatizzano. Sono quei risvolti cristiani forti in Manzoni e ugualmente presenti in Testori con una religiosità più terrena. Emergono la pietà, il perdono, la provvidenza, l’importanza di ribellarsi a qualsiasi sopruso, di sapersi aprire agli altri anche se diversi, ma anche il destino a cui è possibile contrapporsi grazie al libero arbitrio.
Insieme emerge quella voglia di Don Rodrigo di affermare il proprio potere su Lucia, la contadina, che nulla ha a che vedere con l’amore. Siamo a un tema dei nostri giorni. Ed ecco che i Promessi Sposi sono a loro volta messi alla prova: quanto c’è di ancora attuale nel testo del Manzoni? È ancora in grado di parlare ai lettori/spettatori di oggi? I grandi temi che traspaiono permettono una risposta affermativa. Insieme nascono anche tante riflessioni stimolate da quanto viene raccontato. Così l’”Addio monti sorgenti dall’acque” pronunciato sulla barca può rimandare a chi ancora oggi deve dire addio alla propria terra mentre sale su una imbarcazione.
Ugualmente ha rilievo lo stile del Manzoni, che racconta una storia, con più addentellati, per catturare l’attenzione e indurre a riflessioni ulteriori.
Manzoni ha anche contribuito a formare la lingua italiana ed è un altro aspetto che emerge in scena. Il Maestro fa notare a Perpetua – una frizzante Rita Pelusio – quanto il suo nome sia diventato un toponimo. Parla anche di Carneade, sottolineando come l’ignoranza di Don Abbondio lo abbia reso famoso. Sono annotazioni che suscitano anche il sorriso nel pubblico. Coinvolto durante lo spettacolo e in particolare all’inizio della seconda parte. Perché, si potrebbe dire, senza il pubblico gli attori e il loro mestiere perdono di valore. Così alla fine gli attori si presentano al pubblico con il loro vero nome per lunghi, meritati applausi.
I Promessi Sposi alla prova
di Giovanni Testori
adattamento e regia Andrée Ruth Shammah
con Giovanni Crippa, Federica Fracassi
e con Tobia Dal Corso Polzot, Rita Pelusio, Aurora Spreafico, Vito Vicino
e la partecipazione di Carlina Torta
scena Gianmaurizio Fercioni; costumi Andrée Ruth Shammah; luci Camilla Piccioni; musiche Michele Tadini e Paolo Ciarchi
produzione Teatro Franco Parenti, Fondazione Campania dei Festival con la collaborazione di Fondazione Teatro della Toscana, Associazione Giovanni Testori
L’evento fa parte del palinsesto del centenario di Giovanni Testori
durata: 2h e 50 minuti
a Milano, Piccolo Teatro Studio Melato, 12 – 22 ottobre 2023