Il caso Jekyll visto al Teatro Carcano

Una storia profondamente inquietante raccontata in modo giustamente inquietante. Fin dal primo momento di Il caso Jekill, prima che si apra il sipario del Teatro Carcano, Sergio Rubini ricorda che la moglie di Stevenson aveva bruciato il manoscritto di Lo strano caso del dottor Jekyll e Mr. Hyde perché lo aveva trovato troppo perverso. Sono i due aspetti – fonte letteraria e tema inquietante – che lo spettacolo splendidamente evidenzia, con Sergio Rubini davanti al leggio come un lettore che racconta con particolari inquietanti e sconvolgenti che si susseguono. Fin dalla scenografia scura, con due pareti formate da lastre, che a volte si aprono animando il racconto, e confluiscono su un portone.

È una scena che in più momenti è avvolta dal fumo. Sono l’avvocato Utterson e l’amico e cugino Enfield che parlano cercando di capire che cosa sta avvenendo e fumano, ma il fumo invade subito la scena. Fino ad avvolgere e coinvolgere il pubblico, che si sente immerso in questa atmosfera, dove il male si insinua sempre più. Tra fumo e grida dei gabbiani si delinea anche la Londra di fine Ottocento, con la nebbia scura, la povertà dell’East End, il porto, quando le strade erano pericolose, Jack lo squartatore si muoveva uccidendo indisturbato (mai scoperto) e Freud non era ancora.

Questa infatti non è una favola nera. È una storia che riguarda tutti da vicino, perché, eliminata, rispetto al racconto gotico di Stevenson, la pozione artefice della trasformazione del dottor Jekyll, qui i due aspetti convivono: in tutti c’è qualcosa di più nascosto, sia pure con gradazioni differenti, non tali da assimilare a Mr. Hyde. Che invece appare come il male puro, capace di spingere al suicidio una tredicenne, gioire davanti a tre cani che sbranano un gattino, accarezzare un canarino per poi inghiottirlo vivo. Sono eventi orripilanti, che, solamente evocati, prendono vita attraverso i rumori, tra grida di gabbiani e risate inquietanti, fumo invadente e luci che come finestre si accendono per evidenziare dei momenti.

Ma a volte si sente la musica di un pianoforte, le note di “Per Elisa”, a sottolineare la contrapposizione tra il dottor Henry Jekyll e Edward Hyde. È una contrapposizione anche esteriore, che Daniele Russo, protagonista di entrambi i ruoli, rende particolarmente forte, giocando anche con movenze e voce. È una storia che procede agghiacciante tra immagini evocate e racconti, fino a ipotesi formulate e un drammatico dubbio sul finale.

L’ottima interpretazione degli attori, capaci di rendere tutte le sfumature del racconto, evidenziate dalla splendida regia di Sergio Rubini, senza compiacimento ma con stupefazione, che diventa sempre più orrore, catturano gli spettatori. Si trattiene il fiato fino a riflettere su quei lati più nascosti, che però non devono mai trasformarci in Edward Hyde.

Insieme si potrebbe insinuare un interrogativo: perché, semplicemente evocato, il male viene colto in tutta la sua potenza? Certamente la risposta sta nella regia e cast favolosi, che però trovano rispondenza nella mente umana, lontana da totale innocenza e pronta invece a riconoscere il male, sia pure rifuggendolo.

(Nella foto di Flavia Tartaglia, una scena di Il caso Jekyll, con la regia di Sergio Rubini anche interprete)

Il caso Jekyll

Tratto da Robert Louis Stevenson

adattamento Carla Cavalluzzi e Sergio Rubini

regia Sergio Rubini

con Sergio Rubini e Daniele Russo

e con Geno Diana, Roberto Salemi, Angelo Zampieri, Alessia Santalucia

scene Gregorio Botta; scenografa assistente Lucia Imperato; costumi Chiara Aversano; disegno luci Salvatore Palladino; progetto sonoro Alessio Foglia; foto di scena Flavia Tartaglia

produzione Fondazione Teatro Di Napoli – Teatro Bellini, Marche Teatro, Teatro Stabile di Bolzano

A Milano, Teatro Carcano, dal 12 al 17 novembre (12, 13, 14 novembre ore 19.30; 16 novembre ore 20.30; 17 novembre ore 16.30)