Tutto finto, tutto vero. Quella che racconta Arthur Miller con Il Crogiuolo, ora a Milano al Piccolo Teatro Strehler, è una caccia alle streghe. È la caccia alle streghe, quelle immaginate in contatto col diavolo, che ebbe conseguenze tragiche nel 1692 a Salem, con incredibili processi culminati con un numero infinito di impiccagioni. A determinare quello che diventa il disfacimento di una città – allora un villaggio, fondato solo 40 anni prima – è uno scherzo, un gioco di ragazzine. Successivamente sono invidie, interessi economici, vendette. E quella che ora potremmo definire stupidità unita a fanatismo. Così Abigail accusa di stregoneria Elizabeth Proctor, che l’ha licenziata come domestica. La sua è una rivalsa nei confronti di John, il marito di Elizabeth, che non la vuole più come amante.
L’orrore si impadronisce della scena, lasciando gli spettatori prima stupefatti, capaci di capire tutti gli interessi in gioco e successivamente disgustati da quanto sta avvenendo. Da quanto è realmente avvenuto. Ed è proprio quello che voleva Arthur Miller scrivendo questo dramma. Perché vuole parlare di un’altra caccia alle streghe, questa volta avvenuta negli anni in cui sta vivendo. È il Maccartismo, che mise al bando tutti coloro che per qualsiasi motivo – paura, convenienza, meschinità, viltà, desiderio di salvare sé stessi – venivano accusati o semplicemente immaginati comunisti. L’indignazione che scuote il pubblico alla vista degli eventi a Salem si trasferisce ovviamente sugli eventi della metà anni ‘50.
Qualcuno potrebbe pensare che quanto raccontato con Il Crogiuolo non è realmente avvenuto. Sbagliato: sono tutti fatti storici, compreso i nomi di molti dei protagonisti. Solo l’età di Abigail è un po’ accresciuta, da 12 a 17 anni. Lo ricorda anche Arthur Miller all’inizio del dramma, sottolineando la storicità di quanto si sta per vedere attraverso le parole che in questo allestimento sono pronunciate da un uomo in sedia a rotelle.
A coinvolgere emotivamente il pubblico, aiutandolo a cogliere quanto avvenuto in un lontano passato e in tempi più recenti, senza dimenticare rischiosi fanatismi più attuali, è la spettacolarità dell’allestimento grazie alla splendida regia di Filippo Dini, che ha riservato a sé il ruolo di John Proctor, il marito di Elizabeth. Appare subito un uomo forte, rispettato, non pronto a compromessi. «Fisicamente forte, di natura equilibrata e difficilmente influenzabile» dice di lui Arthur Miller, aggiungendo che «era destinato a essere oggetto di calunnie». E quelle calunnie non è disposto ad avvalorarle per salvarsi.
È una regia piena di movimento, fin dalla prima scena che propone lo stereotipo delle streghe con il calderone, il fumo, i balli e l’entrata dalla platea del gruppo delle ragazze. Che sembrano più volersi divertire che richiamare Satana. Lo stesso movimento segna anche l’inizio della seconda parte de Il Crogiuolo, con una entrata di corsa dalla platea, che porta a una lotta degli uomini. Non appare nemmeno casuale la comparsa nella seconda parte, che riguarda tribunale e imputazioni, di una bandiera americana piuttosto malconcia, perché sono gli stessi Stati Uniti (e il sogno americano) a uscire malconci dagli avvenimenti raccontati, come da quelli suggeriti. Ugualmente piace la scenografia che delimita lo spazio con alti muri scuri, che, girati e spostati, riescono a ricostruire le diverse ambientazioni.
A chiudere questa edizione de Il crogiuolo è The house of rising sun, la bella canzone folk dell’800, portata poi al successo dagli Animals. Ed è una canzone di libertà, amata da chi si opponeva alla guerra in Vietnam. Evoca però anche una storia reale, quando una ondata moralizzatrice fece chiudere la casa di Madame Marianne Le Soleil Levant (la casa del sole nascente). In realità un bordello, prigione per delle ragazze. Perché non tutte le storie sono uguali.
Con Il Crogiuolo siamo davanti a una ambientazione maestosa, un gran cast, una regia che riesce a evidenziare le parole di Arthur Miller e il senso di quanto raccontato, accettandone la collocazione nel reale anno degli avvenimenti raccontati, senza tentare una inutile attualizzazione. Il risultato è uno spettacolo di grande potenza e le considerazioni su fanatismo e conseguenze disastrose emergono naturalmente. Riguardano naturalmente gli anni del Maccartismo, ma anche l’oggi.
(Nella foto di Luigi De Palma una scena di Il crogiuolo di Arthur Miller con Filippo Dini anche regista)
Il crogiuolo
di Arthur Miller
con (in ordine alfabetico) Virginia Campolucci, Pierluigi Corallo, Gennaro Di Biase, Andrea Di Casa, Filippo Dini, Didì Garbaccio Bogin, Paolo Giangrasso, Fatou Malsert, Manuela Mandracchia, Nicola Pannelli, Fulvio Pepe, Valentina Spaletta Tavella, Caterina Tieghi, Beatrice Vecchione, Aleph Viola
regia Filippo Dini
scene Nicolas Bovey, costumi Alessio Rosati, luci Pasquale Mari, musiche Aleph Viola, collaborazione coreografica Caterina Basso, aiuto regia Carlo Orlando
Durata: 170 minuti più intervallo
produzione Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale, Teatro Stabile di Bolzano, Teatro di Napoli – Teatro Nazionale
a Milano al Piccolo Teatro Strehler (Largo Greppi – M2 Lanza), dall’1 al 10 novembre 2022 (martedì, giovedì e sabato, ore 19.30; mercoledì e venerdì, ore 20.30; domenica, ore 16)