Pochi elementi, una panchina, una scena spoglia, che non nasconde nulla dell’ampio palcoscenico del Teatro Strehler. È Il Gabbiano secondo la visione registica di Leonardo Lidi. Le parole di Cechov fanno da avvio allo spettacolo. «Perché vestite sempre di nero?» chiede Medvedenko. «Porto il lutto della mia vita: sono infelice» risponde Masha. E’ un incipit fulminante, sufficiente per introdurre nella atmosfera di un teatro che vive di stati d’animo.
Tristezza più che malinconia. Ed è uno scorrere del tempo senza grandi avvenimenti e comunque raccontati più che rappresentati. Così, con una scelta che ha spesso caratterizzato la messa in scena dei drammi di Cechov, che invece aveva scritto un susseguirsi di scene e di attori, questi sono tutti sul palco. Li vediamo muoversi, impegnati in dialoghi in punti differenti della scena. Tutti presenti, perché accomunati da stati d’animo simili, spesso influenzati da avvenimenti di cui sentono parlare. Così non vediamo Konstantin che spara al gabbiano, ma il racconto di questo avvenimento suscita in Trigorin la voglia di dare una interpretazione e tradurla in un racconto breve.
È una scenografia che, parlando chiaramente di teatro, ben proietta lo spettatore subito nell’atmosfera. Infatti il mondo del teatro con i suoi fallimenti, i mediocri risultati, più che i successi, si intreccia con gli amori, questi sempre destinati a delusioni. A breve o lungo termine. Amori sfuggiti o infelici: «Ti ho odiata, ma la mia vita è legata a te» dice Kostja rivolto a Nina, tornata nella casa di Sorin dopo due anni. Anni in cui, racconta, ha sposato Trigorin, che per lei ha lasciato Arkadina, la madre di Konstantin, salvo tornare da lei dopo che Nina ha perso il figlio avuto da lui. E anche con il teatro non è andata meglio. È diventata una attrice, come voleva, ma recita in teatri di periferia.
Proprio a uno spettacolo teatrale stanno per assistere i personaggi di Il Gabbiano nel primo atto. Nina cambia tono e inizia il suo monologo («Gli uomini, i leoni, le aquile e le pernici, i cervi dalle corna ramose, le oche»). Velleitario e proprio per questo ormai oggi famosissimo. Non piace, nessuno lo capisce. Ma Kostja lo aveva preparato con molta attenzione, con il lago – la platea per noi – a fare da sfondo e la luna. Questo per lui è quel teatro a cui aspira, pieno di simboli, contrapposto a quello fatto di realismo che difende come attrice la madre Arkadina.
Ludovico Lidi, a sua volta, ottimamente sceglie di dare vita a un teatro di evocazioni, più che calato nella realtà. E’ un risultato che piace per questa capacità di coinvolgere il pubblico, indotto a immaginare e credere a quanto evocato. Sceglie anche di ridurre i quattro atti a uno solo. Mantiene però un accenno di suddivisione, con i sipari neri che scendono ai lati e momenti di sospensione. E la graticola centrale che cala completamente all’inizio del quarto atto.
Pur operando dei tagli quasi invisibili, non rinuncia a piccoli particolari scritti da Cechov stesso. Così sentiamo citare l’Amleto, Tolstoi, Turgenev, esempi di teatro e di letteratura inarrivabili. All’inizio del quarto atto si sente battere col bastone ed è nella didascalia di Cechov. Compare una tabacchiera, ma la vuole l’autore. Ci sono delle canzoni – la Bohème di Aznavour e Santa Lucia -, ma nel testo di Cechov a volte canticchiano. E, ucciso, c’è il gabbiano (non un vero uccello, ovvio), ma tale da poterlo simboleggiare. Sceglie poi una attrice, pur in abiti maschili, nel ruolo di Sorin, il fratello di Arkadina.
E alla fine succede che… Ma anche di questo sentiamo parlare. Ugualmente sentiamo i tanti applausi alla fine di uno spettacolo che sa conquistare il pubblico.
Il Gabbiano è la prima tappa del progetto triennale di Leonardo Lidi dedicato a Cechov. Il secondo capitolo, Zio Vanja, è programmato dal 24 al 26 giugno al Festival dei Due Mondi di Spoleto, dove aveva debuttato anche Il Gabbiano. Seguirà, l’anno prossimo, Il giardino dei ciliegi. Il progetto è presentato con le parole «tre case, tre famiglie raccontate con semplicità e poesia».
(Nella foto di scena di Gianluca Pantaleo, da destra, Christian La Rosa e Giuliana Vigogna. Sono Konstantin Gavrilovic Trepliov e Nina Michailovna Zarec’nia in Il Gabbiano di Cechov con regia di Leonardo Lidi, ora a Milano al Piccolo Teatro Strehler)
Il gabbiano
Progetto Čechov, prima tappa di Anton Čechov, regia Leonardo Lidi.
Con (in ordine alfabetico) Giordano Agrusta (Medvedenko maestro), Maurizio Cardillo (Dorn medico), Ilaria Falini (Masha), Christian La Rosa (Konstantin), Angela Malfitano (Polina), Francesca Mazza (Arkadina), Orietta Notari (Sorin), Tino Rossi (Sciamràiev), Massimiliano Speziani (Trigorin letterato), Giuliana Vigogna (Nina).
Scene e luci Nicolas Bovey, costumi Aurora Damanti, suono Franco Visioli, assistente alla regia Noemi Grasso.
Produzione Teatro Stabile dell’Umbria, Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale, Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale, in collaborazione con Spoleto Festival dei Due Mondi.
Durata: 110 minuti senza intervallo.
A Milano, Piccolo Teatro Strehler (Largo Greppi – M2 Lanza), dall’11 al 16 aprile 2022 (martedì, giovedì e sabato, ore 19.30; mercoledì e venerdì, ore 20.30; domenica, ore 16).