L’attesa è a lume di candela. È la prima scena di Il Giardino dei Ciliegi di Cechov con la regia di Rosario Lisma. Che è anche Ermolaj Alekseevic Lopachin. È il figlio del contadino che, oltre essersi emancipato, è diventato anche molto ricco: si guarda le scarpe, chiaramente compiaciuto di avere accumulato tanti soldi. È la ricchezza che nasce dal commercio, elemento tangibile in contrapposizione alla bellezza del Giardino dei Ciliegi. La candela si affievolisce e, in piena luce, arrivano nella grande casa Ljubov’ Andreevna Ranevskaja (Milvia Marigliano), sua figlia Anja, suo fratello Leonid Andreevic Gaev (Dalila Reas e Giovanni Franzoni).
I soldi sono finiti: rimangono solo i ricordi. Ricordi della «stanza dei bambini», del vecchio servitore Firs, ormai morto, un testimone sempre presente attraverso una voce che sentiamo fuori campo. La casa e il Giardino dei Ciliegi sono perduti. Forse. Lopachin prospetta una soluzione: parcellizzare il terreno e costruire tante villette da affittare ai villeggianti che stanno arrivando. Per Ljuba è una soluzione non accettabile. Loro vivono nei ricordi. Sono pronti a ballare, memori di un passato felice.
Il Giardino dei Ciliegi è sicuramente uno dei testi teatrali più rappresentati di Cechov. Ma subito è stato messo in scena da Stanislavskij come un dramma, con un velo di malinconia. Che è quanto Cechov rifiutava: lui lo aveva pensato come una farsa.
Se non fino a farne una farsa, Rosario Lisma sceglie però di suonare delle note più lievi. In qualche momento suscita sorrisi, spesso usa suoni e rumori per raccontare. Lo fa attraverso qualche canzone suonata da un mangiadischi, con dei momenti di ballo. E il suono della motosega è ben udibile, quando ormai il destino dei ciliegi è segnato. Fino a vedere Lopachin come un direttore di una orchestra composta da motoseghe. E fino a maneggiare rumorosamente un mazzo di chiavi per aprire quell’armadio davanti al quale il fratello Gaev aveva pronunciato parole estasiate. Ma anche parole occasione di sorridere in derisione di Lopachin, che si è arricchito, ma non acculturato. E quando alla fine Lopachin, con le chiavi della casa che gli ha gettato Varja riesce ad aprire l’armadio…
L’attenzione per suoni e rumori caratterizza questa messinscena al Teatro Menotti. Insieme, realizzando adattamento e regia, Rosario Lisma ha asciugato il testo, togliendo i personaggi della servitù. Non il vecchio servitore Firs, proposto attraverso la voce fuori campo di Roberto Herlitzka. Una soluzione non lontana da Cechov, che molto spesso sceglie di far raccontare gli avvenimenti, invece che portarli in scena. Così, oltre ai risultati dell’asta, anche l’annegamento di Grisa, il figlio di Ljuba, è raccontato. In questo caso da Trofimov. Ancor più intuiamo la presenza dell’amante francese di Ljuba, per cui si è rovinata economicamente, attraverso il suono del cellulare. E’ uno dei tocchi contemporanei, come i costumi indossati dagli attori.
Lopachin è diventato ricco, ha il potere di decidere grazie ai suoi soldi. Ma è impotente di fronte all’amore: vorrebbe proporre a Varja un futuro insieme, ma non riesce a pronunciare le parole giuste. Rosario Lisma riesce a rendere tutte le sfumature dell’imbarazzo che si è impadronito del suo personaggio: dal discorso sul tempo non riesce a uscirne.
Se la famiglia si sente sconfitta, i più giovani Anja e Trofimov (Eleonora Giovanardi e Tano Mongelli) la sentono invece come l’inizio di una nuova vita.
Per Cechov Il Giardino dei Ciliegi è il racconto della perdita di potere della vecchia classe aristocratica, che non ha saputo amministrare ciò che aveva, senza più l’aiuto quasi gratuito della servitù, emancipata dallo zar Alessandro II. E ora è incapace di capire che il mondo sta cambiando. Che l’economia misura ormai tutte le cose e non consente cedimenti sentimentali. Ma certo non è tenero nemmeno nei confronti del mercante Lopachin, irriso in vari momenti, guidato solo dal potere dei soldi. Oggi, ancor più Il Giardino dei Ciliegi ci pone davanti a domande fondamentali: è giusto che sia l’opportunità economica a guidare le decisioni? È giusto che la bellezza sia sacrificata a ragioni economiche? E’ accettabile abbattere degli alberi – il giardino dei ciliegi in questione – per edificare villette? Oggi, con una coscienza ecologica e la consapevolezza di quanto gli alberi siano importanti per la nostra vita, da che parte stiamo?
Lo spettacolo suscita molte domande. Insieme, riesce a conquistare il pubblico, con una messinscena meno tradizionale, ben equilibrata, tra momenti lievi, da sorriso, altri più drammatici. E sempre ben sostenuta dalle interpretazioni degli attori. Insomma, queste ciliegie sono da gustare.
(Nella foto di Laila Pozzo, il cast di Il Giardino dei Ciliegi di Cechov, ora in prima nazionale al Teatro Menotti a Milano. Da sinistra, Tano Mongelli, Eleonora Giovanardi, Rosario Lisma, Milvia Marigliano, Dalila Reas, Giovanni Franzoni. Solo in voce, Roberto Herlitzka).
Il Giardino dei Ciliegi
di Anton Cechov
regia e adattamento di Rosario Lisma.
Con LJUBOV’ ANDREEVNA RANEVSKAJA – MILVIA MARIGLIANO proprietaria terriera; ANJA – DALILA REAS, sua figlia, diciassette anni; VARJA – ELEONORA GIOVANARDI, sua figlia adottiva, ventiquattro anni; LEONID ANDREEVIC GAEV – GIOVANNI FRANZONI, fratello della Ranevskaja ; ERMOLAJ ALEKSEEVIC LOPACHIN – ROSARIO LISMA mercante; PETR SERGEEVIC TROFIMOV – TANO MONGELLI, studente. E con la partecipazione in voce di Roberto Herlitzka.
A Milano al Teatro Menotti Filippo Perego dall’8 al 26 febbraio 2023, dal martedì al sabato ore 20, Domenica ore 16.30 (Prima Nazionale). Poi in tournée.