All’origine è il racconto di Joseph Roth. Il lavoro registico di Andrée Ruth Shammah lo evidenzia. Dapprima è una lettrice che presenta La leggenda del santo bevitore. Si siede a un tavolino ai margini del palco nella sala al Teatro Franco Parenti e si immerge nella lettura del libro, dopo breve presentazione.
Siamo in un bistrot parigino. Qui, come un avventore, il protagonista inizia a parlare con il barman, ma le sue non sono le confidenze con uno sconosciuto. È con la lettura che stabilisce un rapporto. È un racconto pieno di mistero che stupisce il barman. Quello che leggendo gli racconta l’avventore è la storia di Andreas, senzatetto a Parigi, che riceve in dono da uno sconosciuto 200 franchi. Li dovrà però restituire tra una settimana alla piccola Santa Teresa nella chiesa di Sainte-Marie des Batignolles. Quell’incontro con lo sconosciuto sembra scuoterlo: altri ne susseguono per Andreas, si moltiplicano, mentre lui stesso sembra cambiare. Sono incontri con Karoline, con gli amici Woitech e Kanjak. E altri da scoprire guardando il racconto che prende vita in scena. Ma Andreas i 200 franchi non riesce a riportarli alla statua di Santa Teresa di Lisieux, nella chiesa vicino al bistrot dove si è fermato.
L’avventore racconta, evoca immagini. Sono atmosfere che per gli spettatori diventano vive. Attraverso proiezioni sui lati prendono vita ruote dei treni in movimento, strade innevate, scalinate. Luoghi, eventi, stati d’animo vengono evocati diventando immagini.
Lo spettacolo, con il procedere, sempre più vive di sovrapposizioni, di contrasti. Carlo Cecchi è l’avventore, che si identifica sempre più con Andreas e con Joseph Roth, l’autore di La leggenda del santo bevitore, in cui ha messo molto di sé. È un racconto bagnato di pioggia, innaffiato dal pernod. È la pioggia che bagna Andreas quando vive sotto i ponti della Senna. E per dormire cerca i giornali: non per leggerli, ma perché i giornali tengono caldo. Entrambi, Andreas e Joseph Roth, a Parigi vivono in povertà. Entrambi alcolizzati bevono grandi quantitativi di pernod, il liquore che era stato appena commercializzato quando era stato scritto La leggenda del santo bevitore.
Ma è anche un racconto di contrasti, perché Joseph Roth era ossessionato dalla vicenda degli ebrei dell’Europa centrale costretti a emigrare verso l’Occidente, in seguito al crollo dell’impero austro-ungarico. Per lui era una diaspora. Ecco dunque la difficoltà che incontra Andreas – che incontrerebbe anche Joseph Roth – nel riportare i soldi in una chiesa cattolica parigina. È come una contaminazione che sa inevitabile, ma a cui cerca di sfuggire.
Nella messinscena a teatro La leggenda del santo bevitore si riempie di atmosfera. Grazie alle proiezioni assume una dimensione da leggenda. Ma non dimentica la dimensione legata alla realtà, proponendo una sovrapposizione tra l’attore, il personaggio, l’autore e il libro stesso, a cui ci riporta la lettrice seduta accanto al palco. Insieme ci ricorda il pensiero di Joseph Roth, attento alle vicissitudini degli ebrei, qui con richiamo attraverso le musiche. Fino alle ultime parole della lettrice, che dice Kaddish riferita alla liturgia del lutto, che chiude la storia, ma anche la vita di Andreas e di Joseph Roth.
(Nella foto, Carlo Cecchi in La leggenda del santo bevitore con la regia di Andrée Ruth Shammah al Teatro Franco Parenti).
La leggenda del santo bevitore
di Joseph Roth
regia Andrée Ruth Shammah
con Carlo Cecchi
e con Roberta Rovelli e Giovanni Lucini.
Spazio scenico disegnato da Gianmaurizio Fercioni con le suggestioni visive di Luca Scarzella e Vinicio Bordin; luci Marcello Jazzetti; costumi Barbara Petrecca.
Produzione Teatro Franco Parenti
a Milano al Teatro Franco Parenti (Sala A) dal 25 gennaio al 12 febbraio 2023.
Aggiunte nuove repliche fino al 19 febbraio.