Gli uccellini cinguettano. È questa la melodia che accoglie gli spettatori di L’attesa al Teatro Carcano a Milano. E li proietta in quella campagna, lontano da tutto e soprattutto dalla curiosità degli altri. Perché qui è rinchiusa Cornelia, famiglia aristocratica, colpevole di essere rimasta incinta di uno sconosciuto in un rapporto non cercato, ma piuttosto subito (ma anche in questo caso qualcosa è destinato a sorprendere il pubblico). E questo è successo alla vigilia del contratto di nozze con il figlio del duca, che prevede una clausola: la verginità della promessa sposa.
Con l’Attesa siamo nel 1748 e i matrimoni sono dei contratti con varie clausole. Anche Cornelia ha fatto una richiesta, quando è stata rinchiusa lontana dalla famiglia: vivere questa attesa non da sola. Con lei è Rosa, la servetta, anche lei incinta. Ma questa volta per lei si è trattato di un rapporto voluto, anche se unico. E quando mai è ammesso che una donna voglia un rapporto fatto di sesso? Riprovevole nel ‘700 e infatti il suo è un racconto parziale (ma forse questa mentalità non è del tutto sconfitta).
Molto separa Cornelia e Rosa. Ceto molto diverso, cultura diversa: Cornelia tiene un diario. Rosa non sa scrivere né leggere. E a sottolineare le differenze concorrono anche gli abiti, rosso, elegante per Cornelia; blu con aspetto di grembiule per Rosa. Ma sono donne e il destino supera questi confini. Così nasce una solidarietà che i confini li supera davvero. Loro si parlano, non come serva e padrona. Si scoprono. Si capiscono.
Alla fine le sorprese sono tante (e non ve le sveleremo). Una però è legata all’autore di L’attesa, Remo Binosi, in grado di cogliere le difficoltà di una donna, oggi smussate rispetto al ‘700, ma non annullate. Insieme riesce a cogliere le sfumature della sensualità e della sessualità femminile, andando oltre quello che pretendono di sapere gli uomini. Restituisce alle donne il diritto di cercare (non subire) il proprio piacere nel rapporto sessuale, con i propri tempi e modalità. E anche il senso di maternità non appare automatico. Tutti aspetti che accrescono il valore del testo. Per uno spettacolo che ha tanti elementi per conquistare il pubblico. Emozionarlo.
La semplice scenografia, con un letto tutto bianco, parla di isolamento. Di imposta reclusione. Qui si muovono le due attrici, sempre in scena. Davvero brave, capaci di recitare questa distanza che comunque c’è, ma sempre più si dissolve. Anna Foglietta nel ruolo di Cornelia parla una lingua senza accento. Paola Minaccioni nel ruolo di Rosa usa un linguaggio popolare, un veneto che certo non è congeniale a lei, romana, eppure appare molto naturale.
Differenze sociali, sensualità e sessualità, situazione delle donne, pregiudizi, ma affiora anche un altro tema. Seppure in modo più sfumato si parla di aborto, evidenziando la pericolosità di una negazione che lascia spazio a mammane e relativi ferri, come ulteriore violenza nei confronti delle donne. Così una pièce che parla di una situazione del ‘700, scritta alcuni decenni fa, conserva ancora molto forte la sua capacità di parlare al pubblico di oggi. L’attenta e sensibile regia di Michela Cescon, che ha esaltato testo e storia, togliendo solo alcuni particolari che nulla aggiungevano, unita alla scenografia e la forza delle attrici ne moltiplicano l’intensità.
(nella foto di Fabio Lovino, Anna Foglietta e Paola Minaccioni, protagoniste di L’Attesa di Remo Binosi)
L’Attesa
di Remo Binosi
con Anna Foglietta, Paola Minaccioni
regia Michela Cescon
produzione Teatro di Dioniso, Teatro Stabile del Veneto in collaborazione con Fondazione Musica per Roma, Teatro Stabile di Bolzano, ATCL Circuito Multidisciplinare del Lazio per Spazio Rossellini Polo Culturale Multidisciplinare della Regione Lazio; produzione esecutiva Teatro di Dioniso
Il testo L’Attesa è pubblicato da «La Nave di Teseo» di Elisabetta Sgarbi
a Milano al Teatro Carcano dall’8 al 13 novembre 2022, poi in tournée a Viterbo, Civitavecchia, Rimini (Teatro Galli, 22-24.11), Arezzo (Teatro Petrarca, 26-27.11)