A volte – ad Apricale succede – dispiace di non esser più bambini e di conoscere già le storie e le favole “dei grandi”. Capita tanto più in quest’occasione, quando il Teatro della Tosse torna ad accorpare attori e spettatori tra i vicoli e le piazzette del magico borgo medioevale di Apricale, dopo due anni di silenziosa assenza (causa covid) e riporta in scena Un flauto magico, già allestito lo scorso anno nel Parco di Villa Duchessa di Galliera a Voltri in occasione delle celebrazioni per il centenario della nascita di Emanuele Luzzati. Qui, nel paesino abbarbicato sulle scarpate scoscese sul torrente Merdanzo, la compagnia genovese è di casa da oltre tre decenni. Anzi si potrebbe dire, senza tema di smentite, che si deve proprio all’intuizione di trent’anni fa di Tonino Conte con Emanuele Luzzati di utilizzare il borgo dell’entroterra di Ventimiglia come un set naturale per lo spettacolo, se Apricale ha acquisito visibilità e fama nazionale e anche fuori dai nostri confini. Tant’è che oggi a contendersi la proprietà delle antiche case ci sono proprietari provenienti da oltre 30 differenti nazioni (sic!), tutti incantati dai particolarissimi accrocchi della architettura e dal romanticismo di Apricale. Si potrebbe addirittura affermare che è qui che è stata messa a punto la struttura dello spettacolo a stazioni, cifra stilistica di tanti spettacoli (soprattutto estivi) della Tosse, dove un pubblico itinerante prima viene diviso in gruppi e poi riunito insieme per il gran finale, con gli spettatori che intanto hanno visto in differente ordine l’insieme di tutti i capitoli della rappresentazione. (Nel Regno Unito, dove di recente questa formula sta furoreggiando, la chiamano esperienza immersiva).
L’attuale messa in scena, ideata da Emanuele Conte a partire da Die Zauberflöte di Mozart e Schikaneder per celebrare l’immaginario e la poesia di Luzzati, rispetta la tradizione dello spettacolo itinerante. Ma Apricale ne esalta la fantasia esplosiva, l’immaginario fantastico, la ricchezza di suggestioni e incanti. Tanto più che alle suggestioni del Singspiel di fine ‘700, quelle che accompagnarono, quasi un’ossessione, tutta la vita di Luzzati si arricchiscono ora della presenza di altre sue figure amate e reiterate, come Pulcinella e Ubu. Sottolineiamo dunque fin d’ora che il riferimento principale di Un flauto magico più che alla partitura mozartiana (pur presente nelle celebri pagine di coloritura del Der Hölle Rache kocht in meinem Herzen della Regina della Notte e nell’Allegretto di Papageno) fa capo al libretto di Schikaneder e allo scorrere della favola, comprensiva dei suoi simboli e misteri esoterici e massonici. Da regista Emanuele Conte (coadiuvato nella drammaturgia da Alessandro Bergallo, Luigi Ferrando e Amedeo Romeo) ci tiene soprattutto a contrapporre il mondo stupefacente dei colori con il rigore del mondo in B/N, entrambi di pari importanza nell’opera tutta di Luzzati. Sarà compito del Mago Sarastro, affidato all’interpretazione mirabile di Enrico Campanati, esprimere nella scena finale una possibile forma di armonia, una soluzione ai grandi enigmi filosofici ed etici proposti dalla storia. Storia che viene narrata e completata frammento dopo frammento attraverso ogni singolo quadro dello spettacolo, al cui centro è protagonista, volta per volta, uno dei personaggi principali, messo in coppia con una figura di spalla, in deliziosi duetti sempre composti da una figura a colori e una in B/N.
Ogni stazione, inoltre, si articola su un tema centrale. Il quadro riepilogativo dei fatti è affidato al divertente sketch della coppia Serpente Uroboro–La Morte, in cui si rivela come Il flauto magico sia un racconto iniziatico, che nell’intera storia presenta quale unica vittima il serpente. Si rivela anche che il suo morder la propria coda simboleggia l’eterno ciclo della morte che si mangia la vita e della vita che si rigenera a partire dalla morte. Il potere è al centro del dibattito tra Tamino e Padre Ubu, col primo che apprende così bene la lezione da diventare “animale più politico” del maestro. L’uccellatore uccellato potrebbe essere il titolo del numero tra Papageno e La Gazza Ladra, tra loro in gara di seduzione, con lui che vorrebbe assoggettarla con discorsi in prosa e l’altra che ribatte e lo sconfigge con una logica tutta in rima. Trovandosi a copulare nello stesso letto, La Regina della Notte e Pulcinella discutono dei mezzi per raggiungere e mantenere il successo. Madre Ubu e Pamina discutono invece sul valore dell’immagine (non è un caso se Tamino si innamora di Pamina grazie alla sua effige in un ritratto), sul come esprimersi per rivelare sé stessi e rapportarsi col mondo. Come comun denominatore a legare tutti i numeri, emerge l’amore per il Teatro, tutto il Teatro, affettuosamente indagato e restituito nei suoi più diversi aspetti, nella pratica spicciola (l’assurdità di certi costumi come quello del Serpente), nell’arte di duplicare la realtà (sulla scena tutto è finto, ma niente è falso, come rivela la cornice con cui si contorna Pamina), nella capacità dell’attore di essere un contenitore adatto a qualsiasi personaggio (al limite della genialità comica la metamorfosi della Regina della Notte in una Titania mancata)… con tanta ironia, tanto affetto ma anche tanto, tanto, tanto rispetto, ammirazione e riconoscenza per chi lavora sul palco e dietro il palco. Gli attori sono talmente affiatati e abituati a questo tipo di recitazione grottesca e insieme serissima, che potrebbero recitare i propri ruoli alla rovescia, dall’ultima parola del copione alla prima, senza perdere in ritmo e in senso dell’espressione, tutti magnificamente sintonizzati sulla medesima lunghezza d’onda.
Gli elementi scenografici ripresi da precedenti spettacoli di Luzzati mantengono la propria meravigliosa magia per gli occhi, ancor più preziosi nel riutilizzo assemblato da Emanuele Conte. E lo stesso va detto per i fantasmagorici costumi, in origine disegnati e creati da Emanuele Luzzati, e ora reinterpretati da Daniéle Sulewic. Nel nome di Luzzati c’è dunque spazio per la risata, per il sorriso, per lo spasso più sincero, anche per qualche ragionamento serio, soprattutto perché ci vien restituito lo sguardo innocente e in grado di meravigliarsi peculiare dell’infanzia. Di certo, però, va detto che il primo a divertirsi e ad applaudire sarebbe stato proprio lui: Emanuele Luzzati… il genio che tanto ci manca.
Un flauto magico in scena ad Apricale (IM) fino al 15 agosto 2022
(nella foto di Donato Aquaro un momento dell’inizio di Un flauto magico ad Apricale)