Sei in platea e loro ti guardano: sono i performer protagonisti di One Song. Per la sua creatrice Miet Warlop è l’emozione che diventa tridimensionale. In scena al Piccolo Teatro Strehler questo è il quarto racconto teatrale Histoire(s) du Théatre, con cui Miet Warlop risponde alla domanda di Milo Rau “Qual è la tua storia come artista teatrale?”
«Spesso si crea senza chiedersi perché si sta facendo proprio quella performance. Così – commenta Miet Warlop – questa domanda mi ha indotto a rivedere il mio percorso di questi vent’anni». La risposta, aggiunge, doveva essere una voce collettiva di giovani performer, che contenesse l’idea di perdita, in grado di accomunare sia loro che gli spettatori. La costruzione di questo gruppo è durata un anno e mezzo perché ognuno doveva avere una specificità. Il concept prevedeva che alcuni cantassero una canzone facendo contemporaneamente attività fisica con un metronomo che detta il tempo.
In One Song c’è il senso della perdita e del dolore, che traspare dalle parole della canzone: «Il dolore è come un sasso / nella testa / è duro, è ruvido / è lì sempre». E ancora «Si spezza, si rompe, esplode, si piega, si propaga / Il dolore non se ne va». Ma non c’è il grido più aggressivo che connotava lo spettacolo realizzato dopo la vincita di una borsa di studio, però coincisa con la morte del fratello. A vent’anni di distanza questa performance è più legata a un moto di speranza.
In scena si vede un batterista con tutti gli strumenti posti su una distanza di 9 metri, che rende difficile mantenere il tempo. Elizabeth, una violinista straordinaria, suona reggendosi su l’asse d’equilibrio e dimostrando così la sua determinazione. Un cantante corre sul tapis roulant e vive dei momenti interiori: dando le spalle al pubblico si chiede se sarà in grado di portare avanti il suo compito. Alle loro spalle, su una tribuna, cinque fan li incitano perché tutto possa compiersi. «Nella realtà non succede che qualcuno ti dia energia e ti sostenga, ma sarebbe bello succedesse, come appunto avviene qui». Una donna in tribuna, con un ruolo tra arbitro e critico, porta il carico della sua esperienza, dando commenti anche negativi e accompagnati da risate. C’è anche una cheerleader che dà sostegno ai performer, anche se nessuno le bada.
One Song è la risposta di Miet Warlop, che parla di gioia senza perversione. Recupera degli elementi del passato, richiamando il dolore della perdita, unito alla performance realizzata in quella occasione, nei giorni della scomparsa del fratello. Accenna anche a un’altra fatta in Bangladesh, in occasione della Biennale a Dacca. Lì un cheerleader recuperava delle sculture in gesso, come delle parole, e le donava alla gente per strada, come forma di incoraggiamento e spinta a far emergere l’energia interiore. Le sculture ci sono anche qui, ma la cheerleader nella versione teatrale ricorda quelle statunitensi, ben diversamente dalla situazione in Bangladesh. One Song allo Strehler è una metafora. È emozione che diventa azione teatrale. È voglia di futuro.
(Nella foto di Michiel-Devijver la tribuna con i fan, che sostengono i performer impegnati nel match musicale-sportivo al centro di One Song)
One Song
Histoire(s) du Théatre IV
concept, regia, scenografia, testo della canzone Miet Warlop
con Simon Beeckaert, Elisabeth Klinck, Willem Lenaerts, Milan Schudel, Melvin Slabbinck, Joppe Tanghe, Karin Tanghe, Wietse Tanghe e con Stanislas Bruynseels, Marius Lefever, Luka Mariën
musica Maarten Van Cauwenberghe
con la consulenza artistica di Jeroen Olyslaegers
drammaturgia Giacomo Bisordi
costumi Carol Piron & Filles à Papa; suono Bart Van Hoydonck; luci Dennis Diels
Durata: 60 minuti senza intervallo
a Milano, Piccolo Teatro Strehler (largo Greppi – M2 Lanza), mercoledì 7 giugno, ore 20.30, giovedì 8 giugno 2023, ore 19.30