Questa è la Colombia fuori dalle rotte turistiche. La mostra “Più che oro Lustro e visione del mondo nella Colombia indigena” al Museo Rietberg di Zurigo, in Svizzera, offre una immersione in un mondo tutto da scoprire. Diventa una occasione per capire le popolazioni autoctone della Colombia, zona nord. Si scopre una cultura che è parte integrante della loro vita, di cui sono stati colti solo gli aspetti più superficiali da noi e prima ancora dagli spagnoli che lì arrivarono, mossi solo dalla volontà di depredarli. Avevano una scusante: quelli che abitavano quelle terre erano solo dei «selvaggi». Così volevano credere. A smentirli arriva questa mostra.
Un video in apertura aiuta a ricreare l’atmosfera in cui il visitatore sta per entrare. Con una colonna sonora che viene direttamente dalla natura gli Arhuaco, attuali discendenti delle popolazioni autoctone abitanti della Sierra Nevada colombiana, sembrano accompagnare i visitatori alla scoperta della loro cultura e civiltà. A cominciare dalla Ciudad Perdida, la città perduta almeno per noi, che era il centro della vita delle popolazioni autoctone. Tornata alla luce negli anni ’70, grazie al lavoro degli archeologi, era probabilmente sempre conosciuta come un luogo sacro dagli abitanti di questa zona.
Si parla dunque di una città diventata mitica per noi proprio grazie a quell’aggettivo «perduta». Evidente che siamo molto lontani dal concetto di mitico, parte della cultura di quelle popolazioni. Per loro la città è mitica perché centro di commerci, da cui dipende la sopravvivenza.
Ugualmente si chiariscono alcune credenze. Così El Dorado, che si era creduto un luogo, era in realtà un personaggio di particolare rilievo, a cui venivano fatti doni sotto forma di oggetti d’oro.
La mostra “Più che oro” affronta il tema con uno spirito ben diverso da quello dei conquistatori spagnoli, che, nella loro ricerca frenetica dell’oro, hanno finito per considerare quelle popolazioni non come dei fratelli ma come dei selvaggi, da depredare, senza cercare di capire il significato degli oggetti. Di questi vedevano solo il valore economico, ignorando del tutto quello più profondo e spirituale. Il rispetto per quella cultura anima invece tutta l’esposizione zurighese, a cominciare dalla voluta assenza di datazione per le opere esposte. Perché secondo gli Arhuaco gli oggetti, come gli alberi, come le pietre fanno parte della creazione, senza avere inizio né fine.
Ugualmente si capisce il significato di qualche opere. Alcune raffigurano persone sedute, a volte mentre masticano foglie di coca. Non è un momento di riposo: a loro è affidato il compito di comprendere l’equilibrio del mondo e preservarlo.
Quella che appare girando nelle sale del Museo Rietberg di Zurigo è una cultura che non si ferma al valore intrinseco delle opere realizzate. Infatti il rame è anche preferito all’oro per il suo profumo e per il colore rosso degli oggetti. Una valutazione che risulta esattamente opposta a quella degli invasori spagnoli, che miravano invece proprio all’oro, non capendo che per queste popolazioni il valore economico del materiale non era rilevante. Infatti molti oggetti sono realizzati con una lega di oro e rame, che rappresentano rispettivamente l’elemento maschile e quello femminile, origine della vita.
E’ una cultura che diventa parte integrante della vita, capace di ispirare oggetti da indossare. Alcuni ornamenti replicano la forma degli uccelli, considerati all’origine degli essere umani. In più, perfettamente integrati nella vita quotidiana, certi uccelli indicano il momento migliore per raccogliere alcuni frutti e ugualmente annunciano l’arrivo di un visitatore, mentre altri cantano per segnalare il buon cammino o evitare che il viaggiatore possa perdersi.
Girando le sale del Museo Rietberg con un occhio attento si scoprono ornamenti di tutti i generi, molto diversi da quelli a cui siamo abituati. Sono esposti pettorali, pendenti per le orecchie in forma di figura femminile, insieme a ornamenti per il naso, anche a forma di mani. Ugualmente si scoprono recipienti dalla forma di figura umana completa di naso e grandi urne funerarie a forma di figura femminile con coperchio. In totale si possono ammirano 400 oggetti esposti, molti del tutto ignoti per i visitatori svizzeri, ma sicuramente anche per chi viene da oltre confine. Sono oggetti in oro, ma anche in ceramica e insieme si può scoprire che queste popolazioni lavoravano anche il platino.
Sono oggetti che vengono dal Museo dell’oro di Bogotà, ma anche da Los Angeles e Huston. Perché questa è una cultura che ha varcato i confini, sia pure negli aspetti più eclatanti. Sono oggetti che dovrebbero tornare nelle terre dove sono stati realizzati? Gli Arhuaco rispondono in senso negativo, convinti che anche questo possa essere un modo per facilitare una miglior comprensione della propria cultura. Anche per assicurarsi la sopravvivenza.
È una mostra che non si limita a raccontare la cultura attraverso gli oggetti, ma va ben oltre, puntando l’attenzione sugli elementi vitali, come gli alberi da cui viene l’ossigeno, indispensabile per il respiro. Così le pareti delle diverse sale della mostra, attraverso delle foto, evocano l’ambiente naturale. E’ un altro elemento importante per capire meglio le popolazioni discendenti – si stima siano 1,45 milioni che parlano 65 lingue differenti – e quelle tradizioni preservate, che la mostra aiuta a sentire meno estranee, permettendo di superare il concetto di diversità tra i popoli. Perché tutti abitiamo la stessa casa. E’ l’universo, come si può leggere su uno dei pannelli che completano l’esposizione, fornendo utili informazioni.
La mostra assume dunque il valore di antidoto a pregiudizi e superficialità, permettendo di scoprire una cultura ben poco conosciuta. Spesso addirittura considerata inesistente. Insieme consente di vedere degli oggetti di elegante manifattura. E anche questo rientra tra le sorprese che aiutano a cambiare un giudizio troppo frettoloso e superficiale.
(Nella foto di Jorge Mario Arango i terrazzamenti della Ciudad Perdida. Agli angoli, due oggetti esposti a Zurigo nella mostra “Più che oro Lustro e visione del mondo nella Colombia indigena”. A sinistra, un pettorale con creature mitiche in lega d’oro, Colombia, Sierra Nevada de Santa Marta – tradizione Nahuange, provenienza The Museum of Fine Arts, Houston, dono di Alfred C. Glassell, Jr. Nell’angolo opposto, una ocarina in ceramica – tradizione Tayrone, da Los Angeles County Museum of Art, The Muñoz Kramer Collection, dono di Camilla Chandler Frost e Stephen e Claudia Muñoz-Kramer)
Più che oro Lustro e visione del mondo nella Colombia indigena
A cura di Diana Magaloni e Julia Burtenshaw, LACMA, Los Angeles; Fernanda Ugalde, Museo Rietberg, Zurigo
Mostra concepita e realizzata da Los Angeles County Museum of Art (LACMA); Museo dell’Oro di Bogotá; Museum of Fine Arts di Houston, insieme ai membri della comunità indigena degli Arhuaco in Colombia
A Zurigo, Svizzera, Museo Rietberg, fino al 21 luglio 2024