Già l’inizio è spiazzante: quando Ritratto dell’artista da morto inizia allo Studio Melato le luci sono accese. Michele Riondino racconta degli avvenimenti che ha vissuto in prima persona e annuncia che lo sta facendo con parole improvvisate. Racconta dei particolari della sua vita e arriva a immaginare di essere stato concepito il 10 giugno 1978, mentre era in corso la partita Italia-Argentina. E proprio dal Paese sudamericano arriva una lettera al suo indirizzo provvisorio a Milano in corso Concordia 41. È chiamato a Buenos Aires per assistere al processo di riassegnazione dell’appartamento di “Rondino”. Il nome alterato lo spinge ad approfondire. Coinvolge anche Davide, con cui in quel momento sta lavorando a un film (Palazzina Laf). Davide sembra la persona giusta, perché conosce una amica argentina ben introdotta.
Insieme partono per Buenos Aires per partecipare a questo processo, ma Davide incomincia a stare male. Con il passare dei giorni sta sempre peggio, mentre Michele scopre questo appartamento. Viene a sapere che era abitato da Misiti. Scopre chi era: un musicista che aveva trovato una partitura di un musicista ebreo italiano. Gli voleva dare quel lustro che non aveva avuto in vita. E se invece avesse voluto appropriarsi del lavoro dell’altro? E non è nemmeno tutto, perché.. Ipotesi avanzate: ogni storia si presta a opposte conclusioni?
Il coinvolgimento del pubblico si fa sempre più forte. Coinvolto nel partecipare al racconto, ma anche all’azione. Michele Riondino lo invita a lasciare il posto in platea per vedere più da vicino e toccare gli oggetti presenti in scena. E’ un coinvolgimento che diventa anche condivisione di una emozione. Perché Michele racconta il suo ritorno a casa, quando l’aereo si innalza sopra l’oceano. Ripensa, si immedesima e con lui il pubblico. Che ricorda quanto avevano vissuto con esiti drammatici tantissimi dissidenti, oppositori della dittatura militare argentina negli anni tra il 1976 e il 1983.
Intanto Davide sta sempre peggio.
Le sorprese si susseguono, raccontate a più voci. Tutto vero? Più volte sembra di poter cogliere una verità, quando tutto cambia. E allora tutto lo spettacolo si presta a più chiavi di lettura ed è proprio questo che ne accresce il fascino. Perché consente di ragionare sulle conseguenze della dittatura argentina come di quella fascista: oppressione e volontà di eliminare i dissidenti, che accomuna tutte le dittature.
Le sorprese si susseguono. Diventa un gioco di incastri, di svolte, di rinnovati punti di vista, con indagini che portano a conclusioni: davvero incontrovertibili? Che cosa ha raccontato Michele? Un pezzo della sua storia (alcuni elementi combaciano) oppure? E a Milano esiste il 41 in corso Concordia, provvisoria abitazione di Michele?
È un gioco a cui il pubblico partecipa. Ma Ritratto dell’artista da morto non è un gioco fine a se stesso, perché, se i dubbi riguardano il racconto a cui si è assistito, non riguardano invece quello che può essere considerato il tema di fondo. Sono le considerazioni legate alla violenza, che sempre accompagna le dittature e il modo in cui queste si esprimono. Insieme, suscita emozioni, queste sì condivisibili.
E poi c’è quel piccolo oggetto che non pone interrogativi, ma solo riflessioni.
(Nella foto di Masiar Pasquali, Michele Riondino protagonista di Ritratto dell’artista da morto di Davide Carnevali al Piccolo Teatro Studio Melato)
Ritratto dell’artista da morto
(Italia ’41 – Argentina ’78)
scritto e diretto da Davide Carnevali
con Michele Riondino.
Scene e costumi Charlotte Pistorius; luci Luigi Biondi, Omar Scala; musiche Gianluca Misiti; assistente alla regia Virginia Landi; con la partecipazione di Gaston Polle Ansaldi.
Produzione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa; coproduzione Comédie de Caen – CDN de Normandie; Comédie, Centre dramatique national de Reims, Théâtre de Liège.
Durata: 90 minuti circa.
A Milano, Piccolo Teatro Studio Melato (via Rivoli 6 – M2 Lanza) dal 16 marzo al 6 aprile 2023 (martedì, giovedì e sabato ore 19.30; mercoledì e venerdì ore 20.30; domenica ore 16).