È come un’immersione. Con Un amore, ora al Teatro Franco Parenti, è come ritrovarsi immersi nel mondo di Dino Buzzati. E non solamente perché il romanzo portato in scena è autobiografico, almeno in parte, secondo quanto aveva raccontato lo stesso autore. La moglie Almerina raccontava di averlo conosciuto proprio nel periodo in cui lui stava vivendo questa storia. Poi si erano ritrovati alcuni anni dopo e sposati.
Fin dalle prime parole ci si ritrova nella Milano dei primi anni ‘60, in una delle giornate grigie di Milano, quando la nebbia c’era davvero o forse era soprattutto smog, causato dalle fabbriche in una città in piena ricostruzione. Qui vive il protagonista, a cui Buzzati dà il nome di Antonio Dorigo, con una chiara eco a quel Giovanni Drago del suo Il deserto dei Tartari. Entrambi attendono e proprio l’attesa finisce per rappresentare l’elemento vitale.
A portare in scena Antonio Dorigo è Paolo Briguglia, che, solo sul palco, ne parla in terza persona, giocando su una apparente alternanza di voci. E’ lo scorrere dei pensieri del protagonista, come un’analisi psicanalitica che sulla carta si alterna a una visione più esterna: prima e terza persona.
E Antonio Dorigo prende vita. Affermato scenografo 49enne, ma bloccato nei rapporti con le donne, preferisce frequentare la casa di Ermelina, maîtresse in epoca di case chiuse abolite per legge. Ermelina gli presenta Laide, minorenne, prostituta 18enne (allora la maggiore età era a 21 anni) ballerina della Scala. Diventa per Dorigo un amore a senso unico, che lei gli lascia vivere. E’ una ossessione che diventa attesa di un cenno di lei, che nel frattempo ha lasciato la casa di Ermelina. E che lo porta, pur consapevole, ad accettare di essere presentato come lo zio e di considerare Marcello un semplice amico di Laide, a cui è lui che l’accompagna in auto a Modena.
Parallelo alle parole scorre un altro racconto fatto di musica e immagini. Sono le canzoni anni ‘60 che parlano di amore, dapprima con “Innamorati a Milano”, la canzone di Memo Remigi, per proseguire con “Mi sono innamorato di te”, con cui Tenco canta il disincanto attraverso le parole «Mi sono innamorato di te perché non avevo niente da fare». Ma poi Nada, con “Ma che freddo fa”, si chiede «cos’è la vita se manchi tu».
Sul palco Paolo Briguglia si muove poco, passando dal telefono rosso al tavolo versione letto. E il telefono diventa simbolo di questo pezzo di vita raccontato in Un Amore. Sia mezzo per fissare l’appuntamento in casa di Ermelina, che strumento di lavoro per garantire la realizzazione dei fondali, poi progressivamente sempre meno rilevanti. I pochi altri movimenti sono invece ricostruiti attraverso le parole pronunciate e le immagini sullo schermo alle spalle, che aiutano a immergere la storia in quella Milano che Dino Buzzati ben conosceva come cronista.
Con le immagini il protagonista racconta che forse – il dubbio è di Antonio Dorigo – aveva già incontrato Laide in corso Garibaldi, ma poi la insegue al Teatro alla Scala, mentre le ballerine diventano momentanee protagoniste sullo schermo. Qui però, nei primi momenti di incontro a letto, a raccontare sono i disegni che nulla lasciano alla immaginazione. Una scelta dovuta alla passione per il disegno di Buzzati stesso, che aveva scritto di sé «Dipingere e scrivere per me sono in fondo la stessa cosa»?
E alla fine… Il finale è tutto da scoprire.
35 anni dopo la pubblicazione, il romanzo era stato portato a teatro nel 1998, con altro adattamento e un cast di tre attori. Era arrivato anche a Milano in altra sala teatrale.
(Nella foto di Frank Abbate, Paolo Briguglia protagonista di Un Amore di Dino Buzzati)
Un Amore
di Dino Buzzati
regia Alessandra Pizzi
con Paolo Briguglia
produzione Ergo sum
Durata 1 ora e 15 minuti
A Milano, Teatro Franco Parenti, dall’11 al 16 febbraio 2025 | Sala Blu
Replica straordinaria aggiunta, domenica 16 febbraio alle ore 20